Molto del caos sollevatosi in questo periodo è stato creato dalla pletora di esperti che, a seconda della loro personale specializzazione, davano una propria versione dei fatti che spesso contraddiceva o differiva in qualche modo da quella del collega.
Un articolo pubblicato su MicroMega fa fare alcune riflessioni in merito a come la scienza sia stata utilizzata a mo’ di oracolo infallibile, perdendo di vista alcuni punti fondamentali: l’inesistenza de ” LA scienza” e la natura sperimentale e indagatoria, mai definitiva, delle scoperte scientifiche.
L’articolo inizia con un interrogativo:
Forse è giunto il momento di chiedersi come se l’è cavata la scienza in questo frangente e come è cambiato il rapporto tra scienza e società, un rapporto ambiguo, almeno a stare alle resistenze che nel mondo si manifestano contro la vaccinazione,
persino tra gli stessi operatori sanitari.
E poi riporta alcune parole di Isabelle Stengers, chimica specializzata in Filosofia della scienza, che pone l’accento sul panico che ha guidato le decisioni prese fin’ora:
il confinamento va capito a partire da una reazione di panico. E quando c’è panico dimentichiamo tante cose!
Reagiamo sotto la spinta di un’emergenza che impedisce di pensare. Questo panico ci ha guidato,
ha accentuato tutte le disuguaglianze sociali, tutti i rapporti di forza … In fondo credo che abbiamo
assistito a un’indifferenza a tutto ciò che non era mantenimento dell’ordine pubblico.
E continua, parlando appunto de LA Scienza:
è sempre una pessima idea chiedere a ‘la scienza’ cosa bisogna fare perché non è il suo mestiere. Il suo mestiere è cercare
di porre domande pertinenti. Appena si dice ‘la scienza’, si dimentica la pertinenza delle domande.
Si fa come se ci fosse un metodo scientifico per tutte le stagioni capace di rispondere a tutto in
modo oggettivo. È anche un modo di far tacere la gente, perché è ben noto che la gente è incapace
di capire ‘la scienza’.
Stengers continua, sottolineando il fatto che esiste una grossa differenza tra scienziato ed esperto, perlomeno in quello che si pretende da una figura piuttosto che dall’altra.
Lo scienziato fa delle indagini, decide lui su cosa e in che modo. L’esperto invece si presuppone sia quello che “sappia”, che ha un’opinione ben precisa su una certa cosa applicando le sue conoscenze e capacità.
Fin qui, ci possiamo anche stare…dove sorge il problema?
Prima di tutto, la questione Covid non appartiene ad un campo disciplinare unico, ma ne abbraccia molti contemporaneamente (virologia, epidemiologia, economia, questioni di ordine pubblico e di politiche sociali etc). Quindi sarà difficile per l’esperto in un campo non pestare i piedi all’esperto in un altro campo, perchè è difficile scindere le questioni. E anche se lo si facesse, sarebbe comunque una risposta limitata che non tiene conto di tutto un contesto.
In secondo luogo, dall’esperto ci si aspetta una risposta rapida
in tempi stretti o comunque entro una scadenza precisa, quasi sempre non congrui per lo scienziato per concludere una ricerca che, oltretutto, spesso si conclude con un punto di domanda, che richiama una ulteriore fase di studio.
Quando il gioco si fa duro e dall’opinione scientifica dipende il benessere nazionale, se non mondiale, i ricercatori e gli esperti sono messi sotto pressione. Da qui si entra nel campo di quella che viene definita scienza postnormale (PNS) “quando i fatti sono incerti, la posta è alta, i valori in gioco e le decisioni urgenti” .
E quali sono i fatti incerti? Nell’articolo si cita la lista delle cose che un anno fa non si sapevano
Le cose che sappiamo di non sapere (known unknowns) includono quanto
persista realmente il virus nella popolazione; il ruolo dei casi asintomatici nella rapida diffusione
del virus; la misura in cui gli umani sviluppano immunità; I percorsi dominanti dell’esposizione; il
comportamento stagionale del virus; il tempo necessario a sviluppare un vaccino efficace o una
cura; la risposta non lineare di individui e collettività agli interventi di distanziamento sociale in un
sistema complesso di comunità interconnesse su scale multiple, con molti punti di contatto e circuiti
dotati di isteresi (che implicano che una società può non essere capace di tornare allo stato in cui era
prima che gli interventi dovuti al coronavirus avessero luogo)
Adesso sappiamo quanto ci si mette a sviluppare un vaccino (seppure con tutti i dubbi del caso) ma per il resto…siamo ancora grossomodo allo stesso punto. Perchè?
Il quid sta nel fatto che quello che non sappiamo è strettamente legato alla raccolta di dati…che si è rivelata totalmente inaffidabile
Dopo un anno di Covid ancora non si conoscono le cifre più elementari,
ed è probabile che mai si conosceranno. In parte per l’inveterata abitudine dei governi a mentire a se
stessi … Ancora a novembre scorso un fisico autorevole come Giorgio Parisi scriveva che persino in un paese aperto come l’Italia l’indice di contagio Rt era completamente inaffidabile immaginiamo perciò quanto fossero affidabili le
decisioni politiche basate su di esso.
Eppure di numeri se ne dicono tanti…siamo invasi dai numeri dall’inizio di questo stato di emergenza : morti, ricoverati, positivi, guariti. Quindi…tanti numeri, ma dati inaffidabili. C’è qualcosa che non quadra?
I numeri hanno in questi casi una funzione puramente retorica, di conferire certezza
all’incerto: se uno dice “sono morte migliaia di persone”, quest’affermazione è opinabile, ma se uno
dice “ci sono state 12.327 vittime”, l’affermazione diventa inoppugnabile … La
“number-answer” è indispensabile per stabilire un rapporto di fiducia (non importa quanto
giustificato) con il parere dell’esperto. È la stessa ragione per cui i politici ascoltano “la scienza” e
non le scienze”
Quindi si torna sulla distinzione fatta dalla Stengers tra Scienza e Scienze: quella che si basa sui dati raccolti dall’autorità politica e dalle agenzie sanitare e quelle che invece stanno in laboratorio, dove sperimentano e ricercano, dove l’esperto ed il ricercatore coincidono perchè i suoi obiettivi di ricerca sono gli stessi che gli vengono richiesti dall’esterno (ad esempio quella di fare ricerca per un vaccino).
Ma quando entriamo
in situazione post-normale (Cernobil, covid, riscaldamento climatico), le scienze fanno politica.
E si fa riferimento alla creazione, durante il tardo medioevo, dei primi passaporti sanitari che permettevano gli spostamenti a diplomatici e mercanti. Dove le borghesie locali si opponevano a quarantene e confinamento per paura di danneggiare i propri interessi economici. Fino ad arrivare all’800 dove si inizia ad utilizzare una terminologia “bellica” per descrivere la risposta sociale all’epidemia: combattere la malattia, l’epidemia come invasione, dichiarare guerra al virus.
La metafora bellica richiama lo “stato d’eccezione”, e quindi lo “stato d’assedio”, di cui i “coprifuochi” di quest’anno costituiscono solo una sbiadita citazione…
Per questo è così difficile tracciare un bilancio del rapporto tra scienze e società alla luce del Covid-19, perché ogni politica sanitaria è finalizzata a un nuovo ordine politico, a un nuovo assetto di potere, e noi ancora non vediamo la società verso cui le politiche del Covid ci stanno indirizzando.
Una scienza che fa politica dunque, ovvero che aiuta la creazione di un nuovo assetto, un nuovo sentire sociale.
Questo è anche lecito, in fondo le società cambiano e si evolvono con il tempo. Sarebbe auspicabile però che fosse permessa e incoraggiata la partecipazione e la responsabilizzazione dei cittadini affinchè siano parte attiva del cambiamento. Invece fin’ora, quello su cui si è puntato (e che ha in effetti funzionato, seppure con effetti sociali estremamente disfunzionali) è stata la paura:
Lo sbandieramento di nuove varianti lascia intravedere un “confinamento senza fine” … perché appena una società si sente rilassata, pronta a distendersi, ecco che le viene sventolato lo spauracchio di una nuova, invincibile variante
(brasiliana, inglese) del virus: speriamo che non continuino a trattarci come bambini da impaurire
col baubau delle nuove varianti, per gettarci ancora una volta nel panico di cui parla Stengers.
L’articolo termina con un monito alla consapevolezza di ciò che sta sotto la superficie. Cerca di porre un faro sull’uso politico della razionalità scientifica attraverso le parole di Alex De Waal, direttore esecutivo della World Peace Foundation:
I motivi per le – e gli effetti delle – misure di politica sanitaria sono sempre andati molto oltre il controllo della malattia. L’interesse politico si gioca (trumps) la scienza – o, per essere più precisi, l’interesse politico legittima alcune letture
scientifiche e non altre. Le pandemie sono occasioni di scontri politici, e la storia suggerisce che
fatti e logica sono armi del conflitto, non arbitri del suo esito.Mentre i funzionari della sanità pubblica raccomandano alla cittadinanza di sospendere le normali attività per appiattire la curva della trasmissione virale, i leaders politici ci esortano a sospendere la nostra critica così che loro
possano essere un passo avanti rispetto alla protesta quando essa si produrrà. Solo di rado nella
storia recente il modo di governo di burocratica compulsione all’obbedienza da parte dello ‘stato
profondo’ ha goduto di altrettanta stima da ogni parte dello schieramento politico.È proprio in un momento simile, quando la razionalità scientifica è incensata, che noi dobbiamo essere scaltramente
consci degli usi politici a cui queste perizie sono adibite.
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